Incontro con Ottavia Piccolo
Musungu. Questa parola, a prima vista, sembra non
dirci nulla, ma contiene in sé tutta la “diversità”
che ci portiamo addosso. Musungu, infatti, significa
“uomo bianco” nella lingua locale di una
popolazione Keniana e musungu era, per quel popolo,
Libera Pota, una studentessa ventitreenne che ha vissuto
per tre settimane, come volontaria per la Fondazione
Brownsea, in un piccolo villaggio del Kenya con il
padre medico. Durante questo viaggio ha visto fame,
sofferenze, ma anche tanta voglia di riscatto, di
rivincita. E tra lettere inviate a parenti e amici
in quel periodo e riflessioni personali è nato
un libro: “Musungu, ero una bianca nell’Africa
nera”, presentato dall’autrice il 24 ottobre
alla libreria “il Libraccio”, in via Arconati.
Libera Pota ha voluto devolvere il ricavato delle
vendite alla associazione Mani Tese, per finanziare
la costruzione di una scuola in un villaggio del Burkina
Faso. Questo non è un libro puramente descrittivo,
ma contiene tanti spunti di riflessione sulla condizione
di un popolo che se vive tra la miseria e l’angoscia
è anche perché, come dice l’autrice,
“qualcuno si è servito doppio”.
Alla presentazione ha partecipato anche la famosa
attrice Ottavia Piccolo che, invitata dall’autrice,
ha letto e commentato alcuni passi del libro. Abbiamo
approfittato dell’occasione per farle qualche
domanda.
Signora Piccolo sappiamo che lei abita nella nostra
zona, cosa ne pensa?
“Si, è vero abito in Viale Lazio. È
una zona bellissima, ci abito da dodici anni. Ho cambiato
casa, ma sono rimasta in zona, ho praticamente solo
attraversato la strada. Però ho paura che la
zona si stia un po’ stravolgendo perché
stanno arrivando molte “cose di moda”.
In ogni caso mi piace perché è una zona
molto intima e molto “milanese” (anche
se io sono romana…) con molti artigiani e molti
negozi “veri” dove mi piace andare. Io
sono una chiacchierona e mi piace comprare le robe
da persone che conosco. Purtroppo, come dicevo, sta
arrivando la moda (con tutto il rispetto per le persone
di quel mondo): ci sono sempre meno “alimentari”,
i prezzi crescono e le persone “normali”
se ne vanno.”
Ha qualche progetto in zona per il futuro?
“Ora faccio soprattutto teatro, anche se non
ho abbandonato la tv (quando non è troppo schifosa)
e il cinema. In zona sarò, il 6 e il 7 novembre,
ai Chiostri dell’Umanitaria, con uno spettacolo
dal titolo “Buenos Aires” non finisce
mai”, che tratta il tema dei desaparecidos argentini.
L’ Umanitaria è, fra l’altro, un
posto bellissimo, uno di quelli che Milano si è
dimenticato. Un posto che nasce alla fine dell’800
come società per aiutare chi non poteva permettersi
di andare a scuola e che ora è uno splendido
teatro.”
Cosa ne pensa del cinema di oggi?
“Non disprezzo il cinema attuale, ci sono tanti
giovani registi che, però, parlano delle loro
generazioni. Una volta, in Italia, si producevano
400 film all’anno, oggi se ne producono 100,
dei quali solo 10 escono, quindi per un’attrice
che ha superato i quarant’anni è difficile
trovare delle parti, non c’è una grande
offerta. Per fortuna le cose che dovevo fare le ho
fatte (negli anni d’oro del cinema italiano),
ora non mi piace fare a spintoni per una parte, quindi
mi dedico a quello che mi piace fare:il teatro. Bisogna
andare al cinema, ma bisogna anche andare a teatro.
Anche se oggi si tende a scegliere spettacoli disimpegnati,
un pubblico interessato a qualcosa di più “serio”
comunque resta. E noto che, in questo senso, c’è
più interesse in provincia che in una metropoli
come Milano.” Dimitri Squaccio